Una scelta che è segno e portatrice di speranza
Fabio Attard
Non ci siamo mai accorti così tanto
dell’importanza della Scuola
come da quando siamo stati costretti
dall’emergenza sanitaria a chiuderla…
Constato che la Scuola
ha continuato ad essere aperta
nonostante sia stata di fatto chiusa [1].
(Massimo Recalcati)
Un saluto molto fraterno a tutte e a tutti voi. Questo intervento arriva in un tempo assai difficile, come voi potete ben testimoniare. Sono tempi dove sappiamo che non esistono delle ricette pronto per l’uso. In questo spazio mi presento a voi con l’intento di condividere una mia lettura della situazione che è frutto dell’ascolto e dell’accompagnamento di tante persone, giovani e adulti, che con tanta generosità pastorale e intelligenza pedagogica stanno dando il meglio di sé per i ragazzi e i giovani che sono chiamati ad educare e ad accompagnare.
In questi mesi di pandemia ho avuto modo di ascoltare storie ed esperienze che mi lasciano, prima di tutto, pieno di stupore. Io, come tanti altri, stiamo assistendo a esperienze di molte persone che nel silenzio soffrono ma anche si offrono, dando il meglio di sé. Sono tanti i pellegrini silenziosi nelle strade educative e pastorali. La loro generosità, la loro dedizione finiscono per rafforzare tutti nella speranza in mezzo alla incertezza, segni chiari che il momento presente, difficile quanto sia, non spegne la capacità di sognare e sperare un domani migliore.
Quando sulla televisione e su social media ascolto e vedo storie di tanti agenti sanitari che con autentico amore e vera compassione assistono i malati sulla frontiera della pandemia, tanto personale medico che ha dato e continua letteralmente a dare la vita per il bene degli altri, subito la mia mente pensa anche a voi e a chi come voi nel nascondimento state dando il meglio di voi stesse/i per la crescita umana, culturale e spirituale dei vostri allievi. Esiste un esercito silenzioso che sta portando avanti la pesantezza della quotidianità della vita senza suonare trombe, senza cercare fama o consensi. Insieme a voi e come voi ci sono tante persone che nel campo educativo con un cuore generoso state facendo tutto il possibile e anche di più perché i nostri ragazzi/e non rimangano “orfani”, “abbandonati” o “scartati”.
Alla luce di questo scenario, condivido con voi alcuni pensieri che possono incrementare senso e dar ragione alla nostra speranza, rafforzare il nostro impegno complesso e allo stesso tempo complicato, e, infine, allargare la nostra visione su quello che ci circonda. Tutto questo lo condivido senza negare che ci sono dei momenti dove si ha l’impressione che il buio quasi stia avendo il sopravvento… quasi.
Divido il mio contributo in due parti.
La prima parte la chiamerei di natura riflessiva. Propongo una lettura della situazione attuale che ci aiuta a individuare e dare nome ad alcuni suoi lineamenti. Così facendo la realtà che siamo chiamati ad affrontare non sia come un drago che sembra avere il potere di spaventarci. Al contrario, dando nome ad alcune sfide inedite, siamo in grado di riconoscere le forze che abbiamo, i talenti che possediamo e che in tale situazione siamo chiamati a vivere con una convinzione più autentica, una determinazione più esplicita di quanto abbiamo fatto nel passato.
Di queste forze e talenti tratterà la seconda parte. Cioè, alla luce del vangelo, riconosciamo e condividiamo i cinque pani e i due pesci che abbiamo perché tutti possono mangiare a sazietà. Davanti alla folla che siamo chiamati a servire non dobbiamo spaventarci della grande sfida che a noi è data. Siamo chiamati come comunità e in comunione a mettere insieme i doni che singolarmente possediamo. Tutte quelle scelte che per anni abbiamo fatto in maniera inconscia, quasi naturale e senza pensare troppo, adesso dobbiamo dare ad esse un nome, prendendole in maniera consapevole e farle diventare vita, dono per noi e per i nostri giovani. Parlo di scelte carismatiche che il tempo del Covid-19 ci obbliga a rivisitare e a declinare in maniera intelligente e creativa.
NUOVO TERRITORIO – SFIDE INEDITE
In questa prima parte cerchiamo di fare una lettura di alcune opzioni che il tempo che stiamo vivendo ci spinge a riconoscere. Spero che tali opzioni servano per illuminare le dinamiche all’interno della nostre comunità educativo-pastorali. Quando sentiamo la dinamica viva e cosciente della propria chiamata di educatori, quando riconosciamo che siamo attrezzati con il cuore del buon pastore, solo allora seguono quegli atteggiamenti e anche delle scelte che rispondono ai bisogni dei nostro giovani oggi.
Come premessa va detto che familiarizzarci con la storia e con il tempo, conoscendo le nuove e inaspettate pieghe, è un cammino che accettiamo di assumere riconoscendoci chiamati/e a “e-ducere” i giovani. Qui, principalmente siamo chiamati ad evitare in maniera netta il pericolo di applicare le logiche e i ragionamenti di ieri per le novità di oggi. Vorrei richiamare un invito che Papa Francesco nel mese di novembre 2015, durante l’incontro con i rappresentanti del V Convegno Nazionale della Chiesa Italiana, ha offerto. Dice Papa Francesco:
Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo.
Mi sembra che l’invito a percorrere questo nuovo territorio con tale sano atteggiamento ci evita due grosse e subdole trappole. La prima è quella di considerare questa nuova fase come una fase passeggera – “passerà subito, per poi ritorneremo a dove eravamo prima”. Quasi pensiamo a un “ritorno al passato”, mentre qui si tratta di fare il viaggio di “ritorno al futuro”. È una trappola che può produrre una grandissima illusione perché il cambiamento che stiamo vivendo non è per niente cosmetico, ma sismico: è un “cambiamento di epoca”.
La seconda trappola è quella di sentirci vittime, con un complesso di vittimismo che produce soltanto paura, inerzia e, alla fine, ritiratezza. Certamente, non sono cambiamenti superficiali quelli che siamo chiamati a gestire. A noi è rivolta la chiamata ad essere come sentinelle del mattino, a noi è chiesto il faticoso lavoro di anticipare oggi ciò che dovrà venire domani. E il tutto siamo chiamati a farlo con sapienza e intuito educativo. E questo non è facile, ma sentiamo in fondo al cuore che è possibile.
Le nuove mappe che stanno emergendo
Un buon navigatore la prima cosa che fa è quella di leggere bene le mappe del viaggio che sta per intraprendere. La sfida nostra oggi è che siamo chiamati a addentrarci in un territorio incognito di cui ancora non conosciamo le mappe, perché non ci sono. Davanti a questa novità inedita, molti si sentono scoraggiati perché le vecchie mappe non offrono più risposte utili, sono datate, scadute. Anche se tutto questo è vero, però, facciamo attenzione: quello che fondamentalmente ci interessa non è il possesso delle mappe, le vecchie che non servono e le nuove che non ci sono ancora, ma a noi serve di non dimenticare che rimaniamo attrezzati con ciò che conta davvero, cioè la capacità di leggere il territorio. Facendo un passo alla volta possiamo comprendere gradualmente il nuovo territorio, dove bisogna porre il piede per il passo seguente.
E in questo tempo di pandemia a noi è chiesto di studiare bene e con attenzione questo territorio mentre emerge davanti a noi. Il che vuol dire che non cerchiamo tanto le cose che abbiamo fatto e che a suo tempo hanno funzionato, cioè le vecchie consuetudini, per poi adattarle al nuovo. No. A noi è chiesto, invece, di estrarre dal tesoro della nostra conoscenza vitale quelle che erano le motivazioni profonde, quelle ragioni ultime, quel senso integrale e globale del perché a suo tempo noi abbiamo fatto certe scelte e non altre, del perché abbiamo intrapreso e proposto alcuni sentieri e non altri.
In poche parole, siamo chiamati a fare una lettura “intelligente” del nuovo territorio che si sta aprendo davanti a noi. Una lettura sapienziale che è quella del buon educatore e della buona educatrice che inconsciamente ci ha accompagnato fino a ieri. A noi, oggi, è dato l’impegno di “leggere” in profondità come anche di “scegliere” ciò che il nuovo che sta emergendo ci chiede di conoscere, di amare e di esplorare.
È una sfida alla quale siamo preparati. E questo lo diciamo perché ciò che abbiamo vissuto fino adesso è stato segnato da un cuore generoso. Non dobbiamo aver paura ad affrontare il nuovo se lo affrontiamo con lo stesso spirito salesiano che ci ha animato fino a ieri. La novità dipende da noi se va intesa come fonte di paura. Ma di per se stessa, la novità è una chiamata a rendere onore a quei valori nei quali abbiamo creduto e che siamo determinati a continuare a credere in essi e a viverli. La novità ci obbliga a scavare nella profondità della nostra chiamata, della nostra identità salesiana. Mai a metterla in dubbio.
L’audacia delle scelte “oggi”
Nel pieno svolgimento della prima ondata della pandemia, marzo 2020, lo scrittore Yuval Noah Harari, in un articolo nel Financial Times[2] ha scritto:
L’umanità sta affrontando una crisi globale. Forse la più grande crisi della nostra generazione. Le decisioni prese da persone e governi nelle prossime settimane probabilmente daranno forma al mondo per gli anni a venire. Formeranno non solo i nostri sistemi sanitari ma anche la nostra economia, la nostra politica e la nostra cultura. Dobbiamo agire rapidamente e con determinazione. Dovremmo anche tenere conto delle conseguenze a lungo termine delle nostre azioni. Quando sceglieremo tra diverse soluzioni alternative, dovremmo chiederci non solo come superare i pericoli immediati, ma anche come sarà il mondo in cui abiteremo una volta passata la tempesta. Sì, la tempesta passerà, l’umanità sopravvivrà, la maggior parte di noi sarà ancora viva, ma abiteremo in un mondo diverso.
In queste poche righe a tutti noi ritornano i ricordi di quelle terribili settimane che hanno sconvolto il nostro mondo di allora. A distanza di mesi, credo che tutti ci troviamo in questa lettura. Alla luce di questa storia e alla luce della storia delle persone che stiamo accompagnando, i nostri giovani, trova la sua radice il “perché” delle scelte che dobbiamo prendere. Come possiamo noi arrivare a quelle scelte che hanno la forza di aprire a loro nuove piste di vita, nuovi modi di agire e di fare le cose in modo che possiamo favorire l’emergersi di una nuova speranza?
Harari fa notare un aspetto molto bello che credo tutti noi abbiamo notato. Ciò che poteva creare uno stato di confusione e di egoismo, ha anche favorito un susseguirsi di bontà e di generosità. E nei seguenti versi credo che possiamo anche aggiungere tante storie che ci hanno visti come protagonisti.
Normalmente, la fiducia che è stata erosa per anni non può essere ricostruita dall’oggi al domani. Ma questi non sono tempi normali. In un momento di crisi, anche le menti possono cambiare rapidamente. Puoi avere aspre discussioni con i tuoi fratelli per anni, ma quando si verifica un’emergenza, scopri improvvisamente un serbatoio nascosto di fiducia e amicizia e ci si affretta ad aiutarsi a vicenda.
Fare una lettura “intelligente” del nostro tempo, significa trovare questo “serbatoio nascosto” che portiamo dentro il nostro cuore. Per essere più vicini alla nostra esperienza quotidiana come Salesiani, bisogna saper cogliere quelle ragioni nascoste che cominciano a farsi vedere mentre il vento impetuoso del Covid-19 continua a soffiare.
Dietro le incrostazioni della routine e delle “cose che abbiamo sempre fatto così”, l’inedito che ci viene incontro probabilmente lo stiamo già affrontando in maniera sottile e inaspettata. Sono quelle nuove opportunità a livello relazionale, a livello di impegno per i deboli, a una maggior attenzione ai “nuovi poveri” tra i nostri stessi ragazzi. Ma anche tra di noi come docenti e insegnanti sta capitando la stessa cosa, perché anche noi, toccati come siamo da questo cambiamento, cerchiamo di viverlo in maniera nobile e coraggiosa.
Sono tempi che non possiamo e credo che non stiamo incontrando con passività. Il bene dei ragazzi che per noi è il bene indiscutibile e primario ci spinge nella direzione che ci vede fare delle scelte. Sono sicuro che in questi mesi voi di queste scelte ne avete fatte parecchie. È importante riconoscerlo e dirlo tutto questo, perché così facendo stiamo dando il nome ad un percorso nuovo e semplice che gradualmente sta emergendo. Un percorso che sta mostrando la nostra determinazione a favore dei nostri giovani.
Fare delle scelte… e insieme. Non entro qui nel tema del cammino di sinodalità, lo vedremo più avanti. Qui mi limito a richiamare come il pensiero di Harari che testimonia una urgenza sentita a livello globale trasversale è nella stessa linea delle proposte che Papa Francesco ha espresso nel suo discorso pronunciato in forma di videomessaggio in occasione della 75.ma Sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 25 settembre 2020. Il Papa parla di tempo di scelte e fa anche riferimento al famoso discorso davanti a una Piazza San Pietro vuota, quel famoso venerdì 27 marzo 2020:
La pandemia ci chiama, infatti, «a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. […]: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è»[3]. Può rappresentare un’opportunità reale per la conversione, la trasformazione, per ripensare il nostro stile di vita e i nostri sistemi economici e sociali, che stanno aumentando le distanze tra poveri e ricchi, a seguito di un’ingiusta ripartizione delle risorse. Ma può anche essere una possibilità per una «ritirata difensiva» con caratteristiche individualistiche ed elitarie.
Discernimento e riflessione
Leggere i nuovi sentieri e fare delle scelte sono vie possibili solo con l’atteggiamento del discernimento e l’impegno alla riflessione. Dicevamo che non sono tempi che vanno gestiti con superficialità. Ogni scelta e ogni decisione, oggi più che mai, è importante e urgente che sia frutto del discernimento. Il venire insieme, condividere, ascoltare, riflettere, per poi decidere, non è un lusso, non è un plus, ma una condizione irrinunciabile. Nel vivere insieme questa sfida, urge convincerci che tutti portiamo quel piccolo mattone che è capace di costruire la casa, quel cenacolo di amore e di speranza capace di vincere il senso della solitudine e quello di sentirsi sconfitti.
È indispensabile che non lasciamo nessuno fuori, oppure indietro. La pazienza dell’ascolto, se davvero vogliamo regalarla ai nostri giovani perché lo stanno disperatamente chiedendo (questo lo vediamo più tardi), dobbiamo primariamente maturarla tra di noi adulti. I vari processi di decisioni devono maturarsi nella fornace dell’ascolto e della partecipazione condivisi. Nessuno di noi ha le ricette pronte, ma insieme possiamo mettere i vari pezzi che formano il tessuto umano e spirituale del nuovo.
Discernimento, ascolto e riflessione sono la via che ci aiuta a tracciare gradualmente i passi educativi necessari. In questo senso tale direzione va contromano ad una cultura del consumo, costruita attorno all’appetito e al desiderio dell’immediato. In questa nuova epoca non possiamo permetterci né l’indebolimento dell’uso del cervello, dell’intelligenza sapendo che l’assenza del pensiero ci ha abbondantemente regalato situazioni – politiche, sociali, culturali e altro – dove il vuoto ha lasciato spazio al banale, per non dire al ridicolo.
Commenta Mauro Ceruti nel suo libro Sulla stessa barca: “La crisi dell’intelligenza e del pensiero è la peggiore perché è invisibile. E l’accecamento continua a sterilizzare conoscenze e a deviare decisioni. Un pensiero in crisi è impotente davanti a un mondo in crisi”.[4] E non possiamo neanche permetterci di insistere sul cercare soluzioni immediate come se fosse un problema tecnico che chiede una soluzione tecnica.
Ecco, allora, incoraggio che nelle nostre Comunità Educativo Pastorali, ci siano dei momenti sistematici (e per conseguenza sistemici) dove riflettiamo, prima di tutto, su ciò che sta capitando dentro di noi e attorno a noi. Non permettendoci di diventare cittadini passivi davanti a certe derive di natura politica, culturale, e anche religiosa, il nostro impegno educativo porta con sé la responsabilità propria di un gruppo di persone che hanno il cuore illuminato dall’intelligenza – spirituale, pastorale, pedagogica –, persone che gradualmente sanno tradurre la visione riconosciuta e incontrata in processi e proposte per il bene dei giovani.
Una riflessione di Roman Guardini getta luce e dà ragione per non scoraggiarci e che si collega bene con il tema del “serbatoio nascosto” che ci ha fatto ricordare Harari:
Non dobbiamo irrigidirci contro il nuovo, tentando di conservare un bel mondo condannato a sparire. E neppure cercare di costruire in disparte, mediante una fantasiosa forza creatrice, un mondo nuovo che si vorrebbe porre al riparo dai danni dell’evoluzione. A noi è imposto il compito di dare una forma a questa evoluzione, e possiamo assolvere tale compito soltanto aderendovi onestamente; ma rimanendo tuttavia sensibili, con cuore incorruttibile, a tutto ciò che di distruttivo e di non umano è in esso.[5]
La riscoperta dell’autorevolezza delle figure istituzionali
Vorrei commentare il tema della centralità ma anche della crisi che stanno subendo le figure istituzionali. Anche noi, come personale scolastico, facciamo parte integrante di quella serie di figure istituzionali che stanno passando tempi duri. La ricerca che sta venendo fuori sui giovani e coronavirus, tra le varie tematiche troviamo una che ci fa riflettere in maniera molto diretta perché attraverso la nostra presenza nel campo educativo noi ci troviamo in piena convergenza con il mondo giovanile.
Nel Rapporto Giovani, 2020, dell’Istituto Toniolo, troviamo un’affermazione fatta nel 2019, prima del Covid-19, ma che il Rapporto trova opportuno riportare nel tempo post-Covid-19 per la sua attualità:
Nell’edizione del 2019 la realtà descritta continuava ad essere poco soddisfacente, come rappresentato nel seguente passo introduttivo: «Nel complesso, i dati e le analisi proposti evidenziano la persistenza di elementi di difficoltà oggettiva in un clima di bassa fiducia nelle istituzioni e alta insicurezza verso il futuro. La conseguenza è un tempo presente in cui i desideri faticano a diventare progetti di vita e in cui le nuove sensibilità stentano a trasformarsi in impegno collettivo a cambiare la realtà circostante. Gli esempi positivi non mancano e si ottengono riscontri incoraggianti quando si creano le condizioni adatte. A testimonianza di una energia vitale presente ma troppo spesso dissipata, anziché valorizzata» (Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, 2019, p. 18).
L’epidemia di Covid-19 ha, quindi, colpito in modo particolarmente intenso un Paese che già presentava valori tra i peggiori in Europa sugli indicatori sociali e occupazionali relativi alle nuove generazioni. Ecco allora che, se i giovani presentavano una forte difficoltà a immaginare un futuro positivo, il nuovo scenario ha aggiunto un ulteriore strato di incertezza, che può scendere in profondità e diventare insicurezza se non gestita nel modo adeguato.[6]
Se con questa affermazione aggiungiamo anche quello che dice l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) nel suo Report pubblicato ad agosto 2020 su giovani e Covid,[7] scopriamo il seguente scenario:
Il 67% dei giovani in età compresa tra 18 e 29 anni può essere soggetto ad ansia o depressione. Il benessere mentale peggiora quando il percorso scolastico si interrompe e le aspettative per il futuro diventano incerte. In realtà si parlava da tempo della condizione giovanile in Italia come situazione faticosa nell’affrontare il proprio futuro, soprattutto in relazione agli sbocchi lavorativi. Nel linguaggio del cattolicesimo tutto questo viene declinato nei temi della formazione e della vocazione.[8]
I nostri ragazzi e i nostri giovani stanno attraversando una esperienza completamente nuova. Molti di loro vedono in maniera molto prossima la morte vissuta in maniera fredda e senza affetti dei nonni. Ma quello che aggrava ancora di più una situazione difficile e che noi lo possiamo testimoniare è il fatto che i giovani sentono una:
Assenza continuativa e sapienziale di genitori e adulti, (che) ha fornito ai giovani molte cose, ma poche indicazioni di vita e di senso. Cosa significhi per loro un criterio di vita buona è da cercare e da ascoltare, ma certamente non è legato a un percorso disciplinato e paziente. Se Tommaso d’Aquino dice che per l’uomo è impossibile non cercare il proprio bene, per i giovani d’oggi cos’è il loro “bene”? Forse non è ciò che è “buono”, forse è solo ciò che piace al momento. Su queste basi è decisivo che ci si chieda quali effettive azioni, capaci di assumere il punto di partenza reale degli adolescenti e giovani, si possano progettare.[9]
Accanto a questo scenario poco consolatore, troviamo però esperienze che ci indicano delle brecce possibili nel velo gettato dalla pandemia. Le voci di alcuni sacerdoti e agenti pastorali impegnati con i giovani stanno raccogliendo le “domande” degli adolescenti e dei giovani. Ciò che quest’ultimi stanno chiedendo attraverso il loro linguaggio e le loro parole dobbiamo interpretarlo con le loro categorie e non con le nostre. Le loro “domande” non aspettano risposte verbali, ma spazi di ascolto. Chiedono che si ascolti la domanda e che rispondere alla domanda non è importante. La risposta si trova nell’ascolto silenzioso, vicino, rispettoso.
Ecco un esempio, una testimonianza:
«Don vero che tutto finirà presto? Me lo prometti?»
È la domanda (scrive il Don) che mi sono sentito rivolgere da un giovane adolescente dell’oratorio in questo tempo di pandemia. In realtà non è l’unica domanda. Questo è un tempo di domande. Gli interrogativi si moltiplicano e le risposte sembrano essere molto poche. La sa bene chi condivide molto del suo tempo con i giovani. I giovani hanno sempre domande interessanti che ti obbligano ad andare in profondità e che chiedono anche a chi li ascolta la serietà di un confronto autentico con la realtà…
«Don vero che tutto finirà presto? Me lo prometti?»
Una domanda che avrei potuto facilmente liquidare così: «Ma che domande sono? Il mondo non sa cosa fare e tu lo chiedi a me?». Eppure quella domanda mi ha obbligato ad andare a fondo anzitutto della mia umanità, chiedendomi un bagno di umiltà e di realismo. L’umiltà e il realismo di chi è chiamato a riconoscere di non avere una risposta certa a quell’interrogativo così profondo. Ma subito dopo è stata l’occasione per riconoscere che con quel giovane io potevo farmi compagno di viaggio per camminare insieme rimanendo in quella domanda.
E «rimanere» è proprio uno dei verbi che credo caratterizzino il tempo che stiamo vivendo.[10]
Saranno pure difficili i tempi, sarà anche vero che le figure istituzionali stiano subendo una devalutazione che non auguri bene. Però è anche vero che il tutto non è perduto. Notiamo e viviamo esperienze che aprono spazi di luce e di speranza. Sentiamo ragazzi e giovani che oggi più di ieri vedono la scuola come “casa” non solo come edificio di istruzione. Molti di noi probabilmente stiamo sperimentando una “maternità” e una “paternità” che prima non era così evidente e neanche esplicitamente manifesta. Ha ragione allora Papa Francesco quando nella sua più recente Enciclica Fratelli tutti, con un linguaggio chiaro e vero scrive:
Ogni giorno ci troviamo davanti alla scelta di essere buoni samaritani oppure viandanti indifferenti che passano a distanza. (…) Semplicemente ci sono due tipi di persone: quelle che si fanno carico del dolore e quelle che passano a distanza; quelle che si chinano riconoscendo l’uomo caduto e quelle che distolgono lo sguardo e affrettano il passo. In effetti, le nostre molteplici maschere, le nostre etichette e i nostri travestimenti cadono: è l’ora della verità. Ci chineremo per toccare e curare le ferite degli altri? Ci chineremo per caricarci sulle spalle gli uni gli altri? Questa è la sfida attuale, di cui non dobbiamo avere paura. Nei momenti di crisi la scelta diventa incalzante: potremmo dire che, in questo momento, chiunque non è brigante e chiunque non passa a distanza, o è ferito o sta portando sulle sue spalle qualche ferito.» (Fratelli tutti, nn.69.70)
ATTEGGIAMENTI DA COLTIVARE
Quando privilegiamo con chiarezza alcune opzioni di fondo, che fanno partire una dinamica sana e positiva, vediamo come davanti a noi si snoda un susseguirsi di scelte particolari che non sono tanto “cose da fare” ma piuttosto risposte pratiche, azioni che dialogano e intercettano i bisogni dei nostri giovani. Se questa sarà la strada che percorreremo, allora vediamo come la preoccupazione principale non è tanto attorno ad attività da organizzare, ma si concentra su esperienze da promuovere a da accompagnare. Come Salesiani di Don Bosco fortemente crediamo nel valore di un ambiente che promuove i valori di una educazione integrale all’interno del vissuto del Sistema preventivo.
Ecco, che la pandemia ci invita a ripensare in maniera creativa il nostro patrimonio per valutare ancora di più il valore di un “habitus” educativo e pastorale che diventa sempre più “habitat” di senso e di speranza.
Scrive Massimo Faggioli in relazione alla sfida della Chiesa in generale, ma possiamo applicarlo anche a noi nelle nostre case, scuole e centri professionali, oratori, centri giovanili e parrocchie. La pandemia, scrive, ha confermato in maniera molto più efficace di qualsiasi documento o evento ecclesiale nella storia della Chiesa post-Vaticano II, che è impossibile tornare allo status quo e che bisogna camminare insieme. Nel mondo e nella Chiesa di oggi, un popolo pellegrino ha bisogno di “camminare insieme”, sinodalmente. È un “camminare insieme” che fa vedere l’importanza e il bisogno di un “habitat della speranza”, un “ecosistema” ecclesiale, educativo, che favorisca la crescita delle persone.[11]
Comunità e comunione
Un primo impegno nostro, sia a livello di visione come anche a livello di vita quotidiana è quello di saper dare una nuova dinamica a quello che nel nostro patrimonio salesiano chiamiamo lo “spirito di famiglia”. Oggi più che mai i nostri giovani e i nostri ragazzi sono in cerca di relazioni che offrono spazi nei quali si sentono sicuri, accolti, ben voluti. Non è per caso che il termine più significativo che si è sviluppato nel nostro vocabolario salesiano è quello di una Comunità Educativo Pastorale. Comunità che irradia comunione. Una comunione capace di far nascere relazioni autentiche, capaci di far crescere i nostri giovani in persone sane.
L’etimologia della stessa parola “communitas” ci offre una chiave interpretativa in quanto punta su un gruppo di persone che si riconoscono di aver ricevuto insieme (cum) lo stesso munus, cioè lo stesso “dono”. Nel nostro caso si tratta precisamente di una specifica modalità e maniera di essere “dono” per i giovani che contiene dentro di sé un “dovere”, volerli bene educandoli con il cuore del buon pastore. Noi, la Comunità Educativo Pastorale, siamo quel gruppo di persone che, condividendo lo stesso dono, ne assumiamo con libertà e con intelligenza la responsabilità insita in esso.[12]
Qui vediamo con molta più chiarezza l’urgenza di vivere il dono della comunione tra noi come Comunità Educativo Pastorale per potere poi contagiare in maniera sana e positiva i vari processi e le quotidiane relazioni con i nostri ragazzi.
Accoglienza e compassione
Un secondo aspetto che dobbiamo curare è quello dell’accoglienza e della compassione come gesti consapevolmente vissuti nel quadro di una relazione educativo pastorale che mette al centro la persona. Assumendo con gioia l’invito a contemplare la storia di ogni giovane riflessa nel volto di ognuno e di ognuna di loro, non dimentichiamo la forza dei gesti semplici ma profondamente significativi. Nel vivere insieme e quotidianamente questa sfida, tutti abbiamo l’opportunità di portare quel piccolo mattone per la costruzione del futuro dei nostri studenti.
Siamo costruttori del loro futuro oggi, della loro casa di domani, qui e adesso. Noi possiamo, direi dobbiamo, favorire dentro il loro cuore la costruzione di un cenacolo di amore, di uno spazio sacro dove abita la speranza. È indispensabile che non lasciamo nessuno fuori, che nessuna e nessuno si sente “scartata/o”. La pazienza dell’ascolto, primariamente maturata tra di noi, è un “anti-corpo” straordinario, il miglior “vaccino” e la più bella testimonianza che possiamo offrire e comunicare ai nostri giovani.
Loro hanno bisogno di vedere adulti che si parlano tra di loro, che si vogliono bene tra di loro, che onestamente e in maniera intelligente stanno alla ricerca di quei processi, gesti e spazi che danno senso al presente e speranza al futuro. Non permettiamo che la “distanza sociale” diventi “distanza affettiva”. Nella non-convenienza di abbracciarci, non ci è proibito di volerci bene. Nella proibizione di stringere le mani, non ci è proibito di stringere i nostri cuori accanto al fuoco dell’amicizia, dell’empatia, dell’accoglienza e della compassione.
Ascolto e accompagnamento
Forte è la sensazione che stiamo entrando in una fase dove a noi educatrici e educatori ci sarà chiesto in maniera sempre più insistente da parte dei giovani di “prestare ascolto” alle loro storie. Tutti noi come Salesiani, l’arte dell’ascolto la troviamo in quell’icona salesiana, quella fotografia, dove don Bosco sta confessando il ragazzo Paolo Albera, che poi divenne suo secondo successore.
Quanto è urgente prepararci all’arte dell’ascolto! Quanto è pastoralmente significativo che come pellegrine/i dei giovani li aiutiamo a vedere la nostra presenza come una presenza che faciliti e promuova la scoperta di sé! Quanto è sentito il bisogno di un’ecologia della carità all’interno della quale loro si rendono conto che noi siamo lì ad ascoltarli senza giudicarli, che possono aprire il proprio cuore senza la paura di sentirsi messi fuori della porta.
In questa linea va una riflessione del salesiano Carlo Nanni, recentemente scomparso, nel suo libro Il sistema preventivo di don Bosco oggi, che scrive:
La relazione educativa continua ad essere, oggi forse più di ieri, la “piattaforma” per la comunicazione educativa e per la crescita comune in umanità di educandi ed educatori: o, se si vuole, la terra comune su cui camminare e fare strada insieme; o, ancora l’alveo in cui può scorrere l’acqua della vita di tutti: la base del gioco sistemico educativo, la sua struttura portante.[13]
Il volto dei nostri studenti che va incontrato con compassione, è allo stesso tempo un velo che copre, e qualche volta nasconde la loro storia. Stare con loro, in mezzo a loro, “sprecare” tempo nella loro compagnia, desiderosi di ascoltare la loro storia, ha un valore educativo fortissimo.
Stare di fronte all’altro è più che condividere lo spazio di un luogo e la dedicazione di un tempo: è rivolgersi a lui. Ma non per interrogarlo o acquisirne dati o risposte. Per una meta più grande e ambiziosa: quella del riconoscimento nella sua unicità di persona, per assumere su di sé l’altro nella sua umanità così come è, e in tal modo mostrandogli la propria nella sua autenticità. Solo questo reciproco riconoscimento consente, in un progressivo disvelamento, di pervenire, ognuno e insieme, alla meravigliata scoperta della distinta e comune identità, per dirsi l’un l’altro: «Sei tu!».”[14]
Accompagnare alla responsabilità
L’ascolto e l’accompagnamento non si comprendono se non all’insegna di una crescita integrale dei giovani. Ecco allora che a una scelta che privilegia questi due gesti corrisponde gradualmente un cammino che aiuta i giovani a non sentirsi vittime della pandemia. Al contrario. In una fase che può produrre senso di smarrimento, noi come Comunità Educativo Pastorale miriamo a favorire un atteggiamento pro-attivo che responsabilizzi i nostri studenti, nella logica che ci vede assumere da parte nostra le sfide che porta con sé il Covid-19.
Il tema della responsabilità lo vediamo come parte integrante di una comprensione dell’educazione che non accetta di accontentarsi di crear un clima che minimizzi i problemi, una falsa rassegnazione pedagogica, oppure un falso sentirsi al sicuro. Diversamente, e soprattutto in questo attuale contesto, è più impellente la chiamata di far crescere quei valori e quelle relazioni pedagogiche che fanno maturare le potenzialità più belle insite nel cuore dei nostri giovani.
Situazioni di crisi, e questa nostra è una così, non sono momenti dove abbassiamo le aspettative sotto la scusa di un certo “buonismo educativo”. Al contrario, in momenti di sfide epocali siamo ancora di più chiamati a scavare le potenzialità nel cuore della persona, dei nostri studenti, per aiutarli a far crescere loro stessi, gradualmente e con pazienza, quelle capacità e quei doni personali che altrimenti rischiano di essere asfissiati, ma che non hanno nessun motivo per esserlo.
Su questo punto, mi rifaccio alla famosa lettera di Papa Benedetto XVI del gennaio 2008.[15] È una lettera che leggendola oggi, in questo nostro inedito contesto, acquista un sapore fresco di attualità. Papa Benedetto XVI scrive incoraggiando tutti i protagonisti dei processi educativi. E il primo invita che fa è quello di non avere paura, non temere:
Vorrei dirvi una parola molto semplice: Non temete! Tutte queste difficoltà, infatti, non sono insormontabili. Sono piuttosto, per così dire, il rovescio della medaglia di quel dono grande e prezioso che è la nostra libertà, con la responsabilità che giustamente l’accompagna. A differenza di quanto avviene in campo tecnico o economico, dove i progressi di oggi possono sommarsi a quelli del passato, nell’ambito della formazione e della crescita morale delle persone non esiste una simile possibilità di accumulazione, perché la libertà dell’uomo è sempre nuova e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del passato non possono semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta, scelta personale.[16]
Questo passo decisivo, che segue le precedenti riflessioni sulla comunione, accoglienza e ascolto, non possiamo affrontarlo in maniera leggera o superficiale. Se educare ha sempre comportato con sé una certa sofferenza, in questo momento sentiamo davvero come l’educare è “far nascere”, “generare”.
La sofferenza nostra nell’incontrare la fatica e le difficoltà dei nostri giovani, fa parte dei processi formativi mentre li accompagniamo. Non è una sofferenza di una persona perdente, ma di una educatrice e di un educatore vincente. La nostra è una fatica che alla lunga fa maturare giovani capaci di assumere la responsabilità della propria vita, del loro proprio progetto vocazionale:
Emerge come nell’educazione sia decisivo il senso di responsabilità: responsabilità dell’educatore/educatrice, certamente, ma anche, e in misura che cresce con l’età, responsabilità del figlio, dell’alunno, del giovane che entra nel mondo del lavoro. È responsabile chi sa rispondere a se stesso e agli altri. Chi crede cerca inoltre, e anzitutto, di rispondere a Dio che lo ha amato per primo.[17]
Responsabilità che assume la sofferenza come redentiva e che porta ad una sana concezione e esperienza della libertà. Alla luce di questa logica, lungi da noi una visione educativa che cerca di minimizzare, oppure di rendere illusoriamente “soft” la fatica del vivere. Lo spirito di famiglia, il cuore del carisma di Don Bosco, con le varie proposte che fa nascere, ha come fine ultimo quello di far maturare i nostri giovani in persone adulte, solide, cittadini attivi con dei valori spiritualmente nutriti.
Protagonismo dei giovani
Concludo questa parte con un richiamo che è parte integrante del DNA dell’esperienza educativo pastorale salesiana. Mi riferisco al protagonismo dei giovani. “Ripartire con i giovani” ci invita a fare un esame di coscienza sul come stiamo guardando ai nostri ragazzi. Li stiamo vediamo solo come destinatari del nostro pur generoso impegno? Oppure ci sentiamo come dei pellegrini adulti che “insieme” a loro vogliamo percorrere in questo viaggio di crescita integrale?
Siamo consapevoli che in questo momento storico a livello ecclesiale è in atto un grande e significativo sforzo affinché ogni processo pastorale sia un “cammino d’insieme” – sinodalità. Se inizialmente abbiamo parlato della sfida che portano con sé le nuove mappe, qui possiamo incontrare un pericolo ulteriore. In questa situazione di incertezza rischiamo, frutto di una autentica generosità, di offrire proposte che esprimono e riflettono le nostre opinioni, i nostri giudizi e la nostra lettura dei loro bisogni. Tale situazione, malgrado la bontà e l’onestà delle nostre intenzioni, può produrre delle proposte che, non coinvolgendo i giovani fin dall’inizio, finiscono solo per offrire loro un prodotto già cotto da noi. Non è detto che sarà gradito da loro.
Camminare insieme con i nostri giovani, “sinodalità”, in questa ottica, non è soltanto un metodo di “fare” tra noi. La scelta di camminare insieme, oltre che un metodo, che vuol dire un modus operandi, emerge soprattutto come un modo di essere, modus vivendi. Apparentemente si tratta di una scelta operativa e pragmatica, ma che in realtà esprime una convinzione di fondo, dove il “modo di fare” già per se stesso esprime e comunica una determinata personalità, veicola una precisa identità, ottenendo un chiaro obiettivo. Una personalità dell’educatore/educatrice adulti che mirano a far emergere una identità del ragazzo e della ragazza capaci di maturare in persone adulte solide e sane.
Sarebbe di grande beneficio se nelle nostre opere i giovani non soltanto si trovano davanti ad adulti generosi, ma sentono che sono insieme con adulti che li coinvolgono nelle varie fasi e situazioni educativo pastorali.
Spetta a noi di renderci conto di questa chiamata e saperla tradurre nel modo più accessibile nei vari momenti che si prestano. Il protagonismo dei giovani, un obiettivo centrale del nostro metodo pastorale salesiano, oggi si presenta a noi in maniera ancora più urgente e sottile. Il Covid-19 ci ha confermato quanto è debole il sistema che ci circonda. Non dimentichiamo, però, che il Covid-19 non ha reso fragile il sistema, ma ha esposto la fragilità del sistema. Da quella pseudo-certezza di un sistema invincibile presumibilmente gestito da soggetti quasi onnipotenti, siamo passati a un sistema e a dei soggetti che vivono da sconfitti da un nemico invisibile.
Noi, attraverso l’esperienza salesiana, nella misura del possibile vogliamo coinvolgere i giovani nei nostri processi come “antidoto” a questa sconfitta. “Insieme con i giovani” è una maniera di essere per dire che camminando insieme davanti a quella che poteva apparire come una sconfitta è in effetti diventata per noi, educatrici e educatori salesiani una opportunità vincente.
CONCLUSIONE – Mossi dalla speranza
Il teologo domenicano Dominique Collin OP, in una sua riflessione su Il lockdown ha messo a nudo il cristianesimo, fa una analisi che vale la pena considerare. Scrive:
La crisi sanitaria è una crisi del tempo: una di quelle rare volte, da lunga data e su tale scala, in cui il presente, vissuto fino a quel momento come transitorio, ci è apparso reale o, in altre parole, si è presentato a noi in modalità di discontinuità. Ci ha brutalmente ricordato la verità, oscurata dal mito moderno del tempo progressivo e cumulativo, che l’imprevisto, ciò di cui non esistono precedenti, può accadere. Ogni crisi è rivelatrice. Questa ci fa vedere che noi, ben più che non dell’ennesimo virus, siamo ammalati di discordanza dei tempi… ci troviamo reclusi in un presente che è diventato l’unica dimensione disponibile del tempo, un presente ridotto a “presentismo”, forma vuota di un presente senza presenza. Questo è, schematicamente, il male moderno del tempo.[18]
Alla luce di tale lettura, facciamo bene a interrogarci su come stiamo rispondendo noi, educatrici e educatori salesiani nelle nostra esperienza educativo pastorale di fronte all’imprevisto. Credo che la proposta della STRENNA alla Famiglia Salesiana per l’anno 2021 che il Rettor Maggiore Don Angel Fernandez Artime ci propone intercetta molto bene la riflessione di padre Collin.
In effetti, la Strenna porta il titolo Mossi dalla speranza: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5).[19] È un tema indovinato in questa crisi della pandemia dove è sempre vicina la tentazione di restare chiusi e fermi su un “presentismo” che rende la “presenza senza presenza”, a commentare in maniera malinconica il fallimento di un sistema che è entrato in crisi. La riflessione del Rettor Maggiore va incontro a tale pericolo con l’arma della speranza:
La speranza non è un semplice desiderio, perché il desiderio tende sempre verso qualcosa di concreto e determinato. Né la speranza si riduce al mero ottimismo, che ha il suo obiettivo nei calcoli e nella previsione di un risultato positivo. La speranza, al contrario, riguarda pienamente la persona e ha a che vedere con la dedizione e la fiducia. Infatti, l’essere umano è proiezione e tendenza verso un “di più”, verso ciò che è al di là del prevedibile, verso qualcosa di veramente nuovo.
Mi pare che sia questo il cammino che molti come voi stanno prendendo. Siete voi quelli che state dando luce di speranza ai nostri giovani in un momento di buio. Siete voi che a lunga gettata vi rivelerete come delle vere ed autentiche sentinelle del mattino. Il sociologo francese Edgar Morin nel suo libro Cambiamo strada. Le 15 lezioni del Coronavirus commenta: “Rendiamo giustizia anche ai medici ospedalieri, agli insegnanti e agli educatori che, senza soluzione di continuità, nel pieno della crisi si sono rivelati non tanto dei funzionari o dei professionisti, ma dei missionari” (pp. 35-36).[20]
Giustamente, allora, che il Rettor Maggiore ci spinge verso un’assunzione di una speranza che sia come il lievito della nostra missione, come forma del vissuto carismatica salesiano.
La speranza che ci muove rende feconda ogni piccola speranza dell’uomo, mostrando i grandi valori nei quali l’umanità ha investito le sue migliori energie: verità, bontà, giustizia, solidarietà, pace, amore, ecc.; e questi valori non si convertono in utopie, ma diventano realizzazioni, concrete e parziali, del grande progetto che Dio ha sempre preparato per tutta l’umanità e che in Cristo diventa definitivo. Questa è la speranza che ci muove.
Sono parole che comunicano il vissuto di Don Bosco, che per noi oggi è il più bel patrimonio che abbiamo. Siamo anche consapevoli che questo patrimonio è il tesoro più prezioso che condividiamo con i giovani. Con molta umiltà, e con altrettanto convinzione, noi tutti ci riconosciamo in questo flusso carismatico che con fatica e con impegno siamo determinati a portare avanti perché i nostri ragazzi e i nostri giovani meritano una Comunità Educativo Pastorale che ha assunto il Progetto Educativo Pastorale Salesiano come una scelta che è segno e portatrice di speranza.
NOTE
[1] M. RECALCATI, “No alla Generazione Covid”, in La Repubblica, lunedì 23 novembre 2020: https://www.alzogliocchiversoilcielo.com/2020/11/massimo-recalcati-ogni-essere-umano-e_23.html
[2] https://medium.com/bvtechgroup/il-mondo-dopo-il-coronavirus-65e3c1f28f57: “L’umanità ha bisogno di fare una scelta. Percorreremo la via della disunione o adotteremo la strada della solidarietà globale? Se scegliamo la disunione, ciò non solo prolungherà la crisi, ma probabilmente porterà a catastrofi ancora peggiori in futuro. Se scegliamo la solidarietà globale, sarà una vittoria non solo contro il coronavirus, ma contro tutte le future epidemie e crisi che potrebbero assalire l’umanità nel 21° secolo.”
[3] PAPA FRANCESCO, Meditazione durante il momento straordinario di preghiera in tempo di pandemia, 27 marzo 2020: http://www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2020/documents/papa-francesco_20200327_omelia-epidemia.html
[4] M. CERUTI, Sulla stessa barca, Edizioni Qiqajon, 2020, p.14, vedi anche p.37.
[5] R. GUARDINI, Lettere dal lago di Como, Morcelliana, Brescia 1993.
[6] AA.VV., Giovani ai tempi del coronavirus. Quaderni Rapporto Giovani, n. 8: Una generazione in lockdown che sogna un futuro diverso (Quaderni Istituto Toniolo – Rapporto Giovani, 2020) pp.4-5: https://www.vitaepensiero.it/scheda-ebook/autori-vari/giovani-ai-tempi-del-coronavirus-quaderni-rapporto-giovani-n-8-9788834343685-370278.html
[7] “Pandemia e salute mentale: così i giovani sono diventati più insicuri”, in https://www.difesapopolo.it/Mosaico/Pandemia-e-salute-mentale-cosi-i-giovani-sono-diventati-piu-insicuri?fbclid=IwAR3N6Pbv45_Jupm3Y6s4d9qkZKL5vpmgYVdVHPo7DyY8Yn8J7N09TScI138
[8] M. FALABRETTI, “Dossier. Inizia il nuovo secolo” (a cura di Michele FALABRETTI), in Note di pastorale giovanile, gennaio 2021, p.44.
[9] Idem, p.45.
[10] Testo preso dalla riflessione di Don G. BOELLIS, all’interno del “Dossier. Inizia il nuovo secolo” (a cura di Michele FALABRETTI), in Note di pastorale giovanile, Gennaio 2021, pp.37-39.
[11] “The pandemic has made the case much more effectively than any ecclesial document or event in the post-Vatican II history of the Church that it is impossible to return to the status quo. In the world and the Church of today, a pilgrim people needs a synodal way. And synodality needs not just a synodal spirit, but also synodal events and institutions. Synods are essential to the human and spiritual ecology of the Church. They are “habitats of hope”, as German theologian Bernd Jochen Hilberath called them more than two decades and two pontificates ago. Five years after Laudato Si’, it is time we also start caring for our common ecclesial ecosystem,” M. FAGGIOLI, Synods as habitats of hope. Recovering from intra-ecclesial distancing in a post-pandemic Church: https://international.la-croix.com/news/religion/synods-as-habitats-of-hope/12454
[12] Vedi l’articolo di C. CASALONE SJ, “‘Humana Communitas’ Human life in the drama of relationships”, in https://www.laciviltacattolica.com/humana-communitas-human-life-in-the-drama-of-relationships/?utm_source=SS&utm_campaign=_SpiceSend&utm_medium=email
[13] C. NANNI, Il sistema preventivo di don Bosco, oggi. Torino Elledici, 2012, p. 41
[14] A. PATTI, Ascolto, via al dialogo (San Paolo Edizioni, 2018) pp.42-43.
[15] BENEDETTO XVI, Lettera alla Diocesi e alla Città di Roma sul compito urgente dell’educazione, 21 gennaio 2008.
[16] Id.
[17] Id.
[18] D. COLLIN, Il lockdown ha messo a nudo il cristianesimo: https://rivista.vitaepensiero.it/news-dalla-rivista-il-lockdown-ha-messo-a-nudo-il-cristianesimo-5454.html
[19] Rettor Maggiore A.F. ARTIME, STRENNA 2021 – Mossi dalla speranza: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5); https://www.sdb.org/it/Rettor_Maggiore/Strenna/Strenna_2021/Strenna_2021__commentario
[20] E. MORIN, Cambiamo strada. Le 15 lezioni del Coronavirus. (Raffaello Cortina Editore, Milano 2020)
VII Convegno don Bosco – Sesto San Giovanni
20 gennaio 2021
https://www.salesianisesto.it/2021/01/15/vii-convegno-don-bosco/